il diario aquilano di Nadia
A L’Aquila dal 6 aprile 2009 ogni parola può stare sul crinale dell’invasione o dello sciacallaggio. A L’Aquila, che sta a un’ora da Roma, non ci sarei andata se non mi ci avesse portato Minimondi, un po’ perché sapevo che se ci fossi stata forse avrei capito e un po’ perché sapevo che se avessi capito ci sarei tornata per sempre. Sono arrivata di notte, dopo la serata di presentazione del festival a Roma, al Teatro Eliseo. Via XX settembre attraversata nel buio, una scorsa rapida a quel che resta della casa dello studente e subito a nanna in albergo.
La mattina dopo, sveglia prestissimo per incontrare prima una seconda classe dell’ITIS e poi due terze e una seconda media della scuola Dante Alighieri, per il progetto Piccoli maestri: ogni scrittore racconta ai ragazzi un libro che ha molto amato e gliene legge alcune pagine.
Io ho scelto Le botteghe color cannella di Bruno Schulz. Non sapevo come avrebbero reagito a un testo che inanella una descrizione dopo l’altra e un sacco di parole desuete perfino per un adulto di buona cultura; il rischio di disattenzione era altissimo eppure non avevo paura. Avevo ragione. La storia del bambino ebreo dalla testa grossa e l’immaginazione fervida, che teme e ama le metamorfosi di un padre incontenibile, prima ha interessato i quindicenni e poi ha letteralmente stregato i tredicenni. Un’ora non bastava più a rispondere alle loro domande, che dal centro della questione (“Ma Bruno scriveva di suo padre perché non riusciva a parlare con lui?”) si spingevano sempre un po’ più in là, al centro del mio cuore (“Ma lei, quando scrive, si sente meno sola?”). Con me c’era il fotografo Rino Bianchi a suonare il ritmo di uno scatto dopo l’altro.
E sempre Rino, al termine della mattinata, mi ha accompagnata nella mia prima passeggiata in centro città. Una città meravigliosa, ricca di storia e di bellezza, avvolta da una nebbia fredda pungente e malinconica. Una città svuotata eppure, miracolosamente, non vuota. Una città forte.
Nel pomeriggio siamo andati in ospedale per sostenere ABIO e portare letture e giochi al reparto pediatrico, però – meraviglia – non ce n’è stato bisogno. Quel giorno, in ospedale, non c’era nessun bambino ricoverato. Non sono mai stata così felice di dover saltare un appuntamento.
Il giorno dopo sono tornata all’ITIS, dove ho incontrato una prima classe, e alla Dante Alighieri dove ho ritrovato le stesse del giorno prima. Nel frattempo era arrivata la notizia dell’alluvione che ha colpito la mia provincia di nascita, a due anni di distanza dalla precedente, ieri Giampilieri oggi Saponara. Poche parole prima di iniziare: “Sono di Messina, sapete cosa è successo?”. Qualche risposta, qualche sguardo diretto, qualche altro sguardo lanciato altrove: quanto bastava a riconoscere uno smarrimento comune. E via con il laboratorio, a cercare conforto nei libri.
Stavolta si parlava del mio Caro diario ti scrivo… (Sonda Editore, 2011, con Patrizia Rinaldi) che racconta i diari, immaginati, di sei grandi scrittrici all’età di dodici anni: di nuovo la solitudine infantile come spazio per la creatività e la scoperta dei libri, della scrittura come rifugio e speranza, della possibilità che ci dà l’arte di “aggiustare” una realtà che non ci piace. Le ragazze di una delle due terze avevano lavorato sul testo e come sempre ho scoperto dalle loro parole dettagli imprevisti della mia scrittura, e come sempre mentre salutavo, stringevo mani, firmavo quaderni e libri, con lo sciame rumoroso che correva su per le scale al suono della campanella, mi sentivo arricchita e felicemente disorientata mentre l’unica parola che veniva su confusa era un inarrestabile e balbettante grazie.
Crediti
I sorrisi le chiacchiere e la forza degli incontri: i ragazzi e le prof dell’ITIS e della Dante Alighieri, Silvia Paola Daniela Rosaria e i volontari di Minimondi, Pierdomenico Baccalario Anna Cerasoli Carlo Scataglini Alessandro Gatti Davide Morosinotto, Rino Bianchi. E L’Aquila tutta intera e con le ali, dove sogno di tornare provando la stessa sensazione che ho provato nel reparto pediatrico dell’ospedale: che non ce ne sia più bisogno.
foto: Rino Bianchi
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